Ponte sullo Stretto, per Matteo Salvini “tra due anni lavori pronti a partire”
Ponte sullo Stretto, ennesima ripartenza del progetto con la riattivazione della società “Stretto di Messina Spa”, costituita nel 1981 e in liquidazione dal 2013. Lo ha reso noto il ministero dell’Economia e delle Finanze. Il governo Meloni ci crede e dopo il vertice con i presidenti delle Regioni Sicilia e Calabria, Schifani e Occhiuto, il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha portato in Consiglio dei Ministri il primo atto ufficiale per ridare slancio al ponte sullo Stretto, uno dei cavalli di battaglia elettorali del centrodestra. Salvini ha anche dettato i tempi: due anni per l’inizio dei lavori. “Chiederò a Bruxelles che questo progetto abbia un co-finanziamento europeo – annuncia – questo è il governo che ha l’ambizione di posare la prima pietra”. Già il precedente esecutivo a guida Mario Draghi aveva rispolverato uno studio di fattibilità del ponte. A più campate, rispetto all’ultimo progetto di Eurolink di un’infrastruttura da 3,3 chilometri a campata unica. A vincere l’incarico è stata Rfi, con l’impegno a coprire spese per 50 milioni di euro fino al 2023. La società del “Ponte sullo Stretto” non ha certo lavorato gratis. Solo l’anno scorso ha speso 214mila euro per i salari del personale distaccato “per la gestione delle operazioni liquidatorie”, dato che di dipendenti propri non ne ha più. A questi vanno aggiunti 100mila euro di emolumenti al commissario, Vincenzo Fortunato, avvocato cassazionista, già capo di gabinetto del ministero dell’Economia e delle finanze; 20mila per il collegio sindacale; 13mila per la società di revisione, Ernst & Young. Poi ci sono quasi 50mila euro tra altri costi e fatture di professionisti e 55mila di spese dei difensori legali. Controllata all’81,84% da Anas (oggi parte di Ferrovie dello Stato), nella cui galassia approda nel 2007, e partecipata da Rete ferroviaria italiana (Rfi), Regione Calabria e Sicilia, la società del ponte sullo Stretto viene chiusa dall’allora presidente del Consiglio, Mario Monti. La liquidazione, che si sarebbe dovuta completare nel 2014, “entro un anno dalla nomina del commissario liquidatore”, come scrive la Corte dei conti in una relazione del 2018, si trascina invece da anni. Secondo la società, perché prima vanno chiusi i contenziosi legali in cui è coinvolta. Il principale è quello contro il consorzio incaricato della realizzazione del ponte, Eurolink, capitanato dalla società di costruzioni Impregilo e composto da altri operatori del settore (come le italiane Condotte, Cmc e Aci, più la spagnola Sacyr e la giapponese Ishikawaijma-Harima), che reclama dalla Stretto di Messina spa, dal ministero dei Trasporti e presidenza del Consiglio danni per 700 milioni di euro. Altri 90 ne pretendono i progetti di Parsons, colosso americano dell’ingegneria civile. Dal 2014, la vicenda giudiziaria si trascina fino al 2022, con l’annuncio di “precisazioni alle conclusioni” da parte dei giudici del Tribunale di Roma. Se la società ha chiuso almeno due ricorsi per espropri di terreni (in un caso pagando 216mila euro di risarcimento e nell’altro incassandone 20mila a fronte dei 200mila richiesti) resta aperto il braccio di ferro con lo Stato. Già, perché la spa pubblica ritiene di dover ricevere 325 milioni per indennizzarla della revoca della concessione e dei lavori già effettuati. Di contro, i ministeri dei Trasporti e del Tesoro, dove peraltro per anni è stato di casa il commissario Fortunato, replicano che gli eventuali risarcimenti sarebbero “una mera duplicazione di costi con ulteriore aggravio sui saldi di finanza pubblica”. Il risultato dello stallo? Nel 2021 la società dello Stretto ha rispedito a Palazzo Chigi, Tesoro e ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile (Mims) tal quale il riepilogo dei costi del 2013. Per la Corte dei conti “la rapida chiusura della società si impone come necessaria anche per l’estinzione del contenzioso avanzato dalla società nei confronti delle amministrazioni statali, contrario ai principi di proporzionalità, razionalità e buon andamento dell’agire amministrativo e per porre fine ai gravosi oneri finanziari per il mantenimento della struttura, considerata l’assenza di attività, se non quella di resistenza in giudizio, affidata, peraltro, ad avvocati esterni. In tal senso, l’abbattimento dei costi di un ulteriore 20 per cento previsto per l’esercizio in corso appare misura doverosa ma del tutto insufficiente”. Nel tempo la società, complice anche la riduzione delle attività, ha abbassato anche i suoi costi. Dai 759mila del 2019 siamo passati ai 451mila del 2021. Ma nell’ultimo bilancio la società del ponte sullo Stretto ha accumulato debiti per 24,8 milioni e secondo la revisione di Ernst & Young, non si può “escludere che il commissario liquidatore possa richiedere agli azionisti di effettuare ulteriori versamenti per il pagamento dei debiti sociali”.