Subacquea industriale, Inshore e Offshore: occorre fare chiarezza
I piccoli passi fatti nel mondo della subacquea industriale, a partire dal 2016 con la legge siciliana, unica nel suo genere a regolamentare percorsi formativi nei settori inshore e offshore (oltre al contratto di categoria in Area Meccanica firmato qualche mese fa), non bastano per fare chiarezza in questo settore.
In pratica, non esistendo in Italia una categoria professionale per i lavori in offshore, l’imprenditore italiano che voglia assumere operatori qualificati, ad eccezione di quelli iscritti nel repertorio della regione siciliana, si avvale di personale addestrato solo per attività in ambito portuale (Operatore Tecnico Subacqueo), o di chi abbia soltanto una preparazione nel settore sportivo e opera in acque interne.
Le ditte che operano in offshore, in assenza di regole, assumono personale applicando criteri basati sul risparmio, a discapito della sicurezza. Ad eccezione degli iscritti nel “Repertorio della subacquea industriale”, istituito dalla Regione Siciliana, che è garante della qualità della preparazione controllata da un ente pubblico, come richiesto dall’IMCA (International Marine Contractors Association), la subacquea industriale necessita di regole e criteri specifici per i vari livelli: ambito portuale, inshore e offshore da applicare su tutto il territorio nazionale, dove in atto regna un’enorme confusione.
Queste figure professionali vanno oltre i limiti regionali e nazionali e quindi, per sostenere la mobilità professionale degli addetti, i percorsi formativi devono rispondere alle esigenze del settore industriale. Anche in Italia, in ambito inshore e offshore, la formazione deve essere quindi coerente con gli standard definiti da IMCA e HSE-UK (Health & Safety Executive) validi nel Regno Unito; ACDE (Association of Commercial Diving Educators) validi negli USA; ADAS (Australian Diver Acceditation Scheme) in Australia; ARAMCO (Arabia Saudita) per i Paesi Arabi, i quali utilizzano standard didattici che fanno riferimento all’unica didattica internazionale nel settore della subacquea industriale IDSA (International Diving Schools Association), che, a livello mondiale, ha elaborato regole per la formazione in entrambe i settori.
L’accesso, con l’iscrizione nel registro sommozzatori presso una Capitaneria di porto, può essere considerata un’ottima porta d’ingresso, ma è totalmente insufficiente se le attività devono essere svolte in ambito extra portuale inshore o offshore, così come oggi avviene in tutto il pianeta. Anche l’ENI, sin dal 2003, ha adottato queste regole, spesso però non condivise dalle aziende. Tutto questo non fa che aumentare il livello di confusione, che ci allontana sempre di più da quanto accade nel resto del mondo e dall’adeguamento alle normative europee, motivi validi che spingono urgentemente a fare chiarezza sulle competenze degli operatori sia presso le aziende che nei confronti di chi materialmente lavora sott’acqua. Per non dimenticare chi dovrà vigilare e proteggerli, che rappresentano i veri e propri angeli custodi dei sub.