Drenaggio porto di Trapani, perplessità su procedure gestione materiale prelevato

“Questi lavori potrebbero pregiudicare la fauna locale”

Giovanni Lo Coco, dal 2019 presidente dell’associazione di categoria “PrinciPesca”, fondata e costituita da soli pescatori di tutta Italia, ha sollevato perplessità sulle procedure di gestione del materiale di drenaggio del porto di Trapani tanto da costringerlo ad esporre denuncia alla Capitaneria di porto.  

I lavori di dragaggio del porto di Trapani, in corso da qualche mese e destinati a durare poco meno di due anni, hanno indotto Lo Coco a chiedere alle autorità competenti di accertare se le operazioni si stiano svolgendo nel rispetto delle prescrizioni inserite nell’autorizzazione ambientale rilasciata dalla Regione.

Le perplessità derivano dalle procedure di gestione del materiale prelevato dai fondali dell’infrastruttura per essere poi depositato a una distanza di circa due miglia dalla costa del Trapanese. “Queste operazioni potrebbero pregiudicare la fauna locale – riferisce Lo Coco – causando gravi danni all’attività dei nostri pescatori e mettendo anche a repentaglio la sicurezza delle imbarcazioni e del personale a bordo”.

Ad aggiudicarsi i lavori è stato il raggruppamento temporaneo d’impresa costituito dalla romana Società Italiani Dragaggi spa e dalle campane Rcm Costruzioni e Tecnobuilding a cui è stato assegnato l’appalto, finanziato con 60 milioni di euro, somma provenienti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza il cui iter autorizzativo ha portato al progetto presentato dall’Autorità portuale della Sicilia Occidentale. La loro è stata l’unica busta arrivata all’Autorità portuale, che dopo avere verificato la proposta tecnica ha deciso di aggiudicare la gara assegnando al raggruppamento il massimo punteggio, cento su cento.

Nella denuncia presentata dall’associazione di pescatori si contesta che “il materiale prelevato viene scaricato” in un tratto di mare la cui profondità “varia dai 130 ai 600 metri”. Ma a preoccupare maggiormente Lo Coco e soci è la possibilità che il materiale che finisce nei fondali potrebbe contenere sostanze inquinanti.

Ipotesi, questa, suffragata dalla testimonianza raccolta dal comandante di un motopesca che, trovandosi a navigare nella zona in un cui i fanghi verrebbero rilasciati, ha avuto problemi a salpare le reti e poi, dopo essere riuscito a recuperarli, avrebbe trovato tracce di colore nero che farebbero pensare a residui di “idrocarburi”.

Mentre la denuncia presentata dall’associazione presieduta da Lo Coco parla dei possibili riflessi per l’attività di pesca, nei documenti esaminati dalla Cts si parla di uno studio in cui, in merito alla presenza del nasello nel sito scelto per depositare i fanghi, si dice che “dalle indagini si è evinto come la presenza delle specie risulta altamente impoverita e fortemente influenzata dalle attività di pesca a strascico, che ne hanno prodotto una condizione di instabilità”.

Inoltre si ritiene che “le uniche specie che si rinvengono nelle aree, sono fortemente resistenti alle condizioni di infangamento e in grado di riprendersi rapidamente da eventi di disturbo”. Posizione del tutto opposta a quella sostenuta dall’associazione PrinciPesca: “Non è vero che manca il pescato – replica Lo Coco – Basta verificare i dati del centro Sim di Roma dove noi ogni giorno inviamo i dati di cattura. La preoccupazione, semmai, è che con queste attività gli habitat possano essere seriamente danneggiati”.

La deputata trapanese del M5S, Cristina Ciminnisi, componente della commissione Ambiente dell’ARS, dopo aver appreso della denuncia presentata alla Capitaneria di Porto di Trapani dall’associazione di pescatori Principesca secondo la quale reti da pesca sarebbero state ritirate sporche di “materiale di colore nero”, presumibilmente residui di idrocarburi ha così commentato: «Le notizie riportate dalla stampa non ci sorprendono e ci preoccupano molto. Il Governo regionale non si sottragga ancora: ci dica chiaramente se intende difendere il mare di Custonaci, Macari e San Vito o lasciare che le logiche di mercato e disprezzo delle norme in materia ambientale prevalgano sulla tutela del territorio».

«Già nel febbraio dello scorso anno, in una mia interrogazione, purtroppo ancora senza risposta – spiega Ciminnisi – avevamo indicato che il piano di gestione dei sedimenti provenienti dal porto di Trapani non contemplava alternative concrete allo scarico in mare nell’area indicata come ‘fondali del Golfo di Custonaci’. Avevamo esplicitamente espresso la preoccupazione che il rilascio delle terre scavate dai fondali del porto, se non coerente alle prescrizioni ambientali, avrebbe potuto determinare torbidità nelle acque antistanti San Vito Lo Capo, Macari e Cornino e alterare irreversibilmente l’habitat marino e un’importante area di pesca».

«Mi chiedo – conclude la deputata regionale – se c’è qualcuno che nei lavori di escavazione dei fondali e di dragaggio controlli il rispetto delle prescrizioni ambientali. Non possiamo consentire che venga deturpato in maniera irreparabile uno dei più bei tratti di mare del nostro Paese».

Pin It on Pinterest